La polemica elettorale ha raggiunto,
negli Stati Uniti, le vette che tutti sappiamo. Impossibile ignorarle con il
fracasso che la radio e la stampa ci stanno facendo sopra. Gli uni, avversari
della politica americana con lo stesso fanatico accanimento con cui ieri ne
esaltarono gli obiettivi di guerra, si avvalgono delle irruenti accuse di corruzione
e di venalità che si lanciano, reciprocamente, attraverso gli altoparlanti e la
televisione, i candidati dei partiti in lizza, per diagnosticare la cancrena
della borghesia statunitense. Secondo loro, tali manifestazioni di impudenza
sono sintomi chiari della agonia della potenza del dollaro, a tutto beneficio
dell'espansione russa. Per gli altri, legati anima e corpo alla greppia
governativa, la brutale franchezza con cui la classe dominante yankee denuda le
vergogne del sistema capitalista, equivale a prova di vitalità della democrazia
parlamentare che non si nasconde, secondo loro, le difficoltà e gli errori che
sono invece dissimulati e nascosti dai regimi totalitari con i noti metodi
polizieschi. Per lo più, a tenere questa difesa ad oltranza della democrazia
elettiva in generale, di quella americana in particolare, sono gli stessi
giornalisti che ieri l'altro osannavano al tota-litarismo mussoliniano e alla
guerra anti-americana. Conclusione prima: i cinici giudicano i cinici, gli
spudorati leggono le carte degli spudorati, i venali e rotti a tutti i
volgimenti di gabbane contano i soldi in tasca ai loro simili. Di che
meravigliarsi se i galoppini di Stevenson accusano Eisenhower di accettare
nelle proprie file gente… molto sensibile al fascino del dollari? Nell'universo
della democrazia parlamentare, o popolare, tutto mondo è paese.
Ma il quesito rimane. Perché la
borghesia americana, contrariamente alle borghesie d'oltre-atlantico che
studiano di usare al minimo l'arma dello scandalo e al massimo quella
dell'influenzamento ideologico delle masse, non dico che pervenga a capovolgere
il rapporto, ma, con audacia inaudita altrove, non si perita di mostrare alla
luce del sole le magagne del proprio personale politico e militare, le
disfunzioni dell'apparato di governo, l'incredibile dose di incapacità e di dilettantismo
della propria diplomazia? Non regge l'ipotesi, che è solo un pio desiderio,
degli staliniani, per la quale la borghesia americana sarebbe sul punto di
tirare le cuoia. Una classe dominante, per morire, ha bisogno di un becchino. A
tutt'oggi il proletariato americano non si mostra affatto all'altezza del
compito. Tendete le orecchie: sentirete ancora il fragore degli applausi
frenetici decretati dal Congresso dell'A.F.L. (Federazione americana del
Lavoro) al candidato democratico Stevenson. Per ben 35-40 volte, riferisce la
stampa di informazione, gli ottocento delegati del Congresso hanno interrotto
il discorso di Stevenson, pronunciato alla loro presenza, abbandonandosi a
scene di entusiasmo, quali si registrano da noi ai comizi oceanici di Nenni e
Togliatti. Altro che becchino, almeno per ora! Se la classe operaia è penetrata
fino alle midolla del veleno opportunista, frastornata dalle superstizioni
circa la coesistenza pacifica delle classi, come volete che la classe dominante
borghese sia sulla via della tomba?
Nemmeno regge l'ipotesi della "vitalità"
della democrazia yankee, avanzata dai giornalisti affittati al governo filo-americano
di De Gasperi. Ogni volta che la classe dominante americana ha sentito che i principii
della propria dominazione erano seriamente minacciati, non ha esitato, come nel
caso dell'eccidio di Chicago, dell'assassinio giudiziario di Sacco e Vanzetti e
in diversi altri casi, a fare ricorso con immutabile cinismo al pugno di ferro,
all'azione brutale e sangui-nosa dell'apparato repressivo. Parlare
dell'America, identificandola col mondo della libertà, quando la malavita, che
in ogni Stato borghese viene adoperata tradizionalmente come strumento
ausiliare di repressione in determinati momenti cruciali della lotta di classe,
negli Stati Uniti entra come elemento permanente e parte integrante insostituibile
del politicantismo! E che dire di un regime "libero" che produce
dalle sue viscere il più bestiale e irriducibile razzismo che mai si sia visto
al mondo? Confrontate le manicomiali cerimonie del Ku-Klux-Klan con le crociate
antisemite dei nazisti: se lo spargimento di sangue commesso da questi supera
quello provocato dai linciaggi dei negri, la follìa sadica dei razzisti
americani, i quali hanno nelle mani il governo di interi Stati dell'Unione,
resta certamente ineguagliata. No, la perpetuazione del regime sociale e politico
statunitense non si appoggia affatto, siccome pretendono i pennivendoli governativi,
sull'elisir di lunga vita della democrazia. La questione va completamente
rovesciata. È il regime dello scandalo e della frode elettorale, tipicamente
yankee, che si regge su qualcos'altro, su un fatto innegabile che sia la stampa
stalinista che quella filo-americana accuratamente evitano di illustrare.
Quale? La soggezione totale delle masse lavoratrici americane alle influenze
dell'opportunismo, la loro incapacità a liberarsene.
La stampa staliniana, che ha una
missione demagogica da compiere, mentre mostra di rabbrividire di disgusto di
fronte alle carnascialate di America, deve affermare ogni ora, in omaggio alla
tesi dell'avanzata del mondo del "socialismo", che le masse lavoratrici
americane stanno aprendo gli occhi al socialismo e chiudendo le orecchie alle sirene
opportuniste. Noi, che non abbiamo da ingannare nessuno, non possiamo affatto dirlo.
Non possiamo dirlo soprattutto perché non abbiamo da svolgere un compito di reclutamento
di partigiani per l'eventuale guerra imperialista, il che appunto si fa predicando
un'esagerata sottovalutazione del potere del competitore imperialista. La
verità è che la mentalità tipicamente cinica della borghesia americana, il suo
non aver timore, ad esempio, di condurre una battaglia elettorale, quella in
corso, su uno scandalo finanziario, in cui ogni partito accusa l'altro di
ladrocinio e di venalità, è determinata dal tracotante sentimento che la
borghesia yankee ha della propria strapotenza di classe.
L'ultimo atto che doveva ribadire la
completa dominazione del Capitale si è avuto recentemente, come dicevamo,
dall'adesione all'unanimità del Congresso dell'A.F.L. alla campagna in favore
del candidato democratico Stevenson. Precedentemente, il Congresso del C.I.O., l'altro
potente organo sindacale americano, aveva presa la stessa decisione. Ciò
significa che l'intero proletariato americano, il più numeroso del mondo, è caduto,
tranne trascurabilissimi gruppetti accalappiati peraltro immediatamente dalla
rete stalinista, nel pieno del gioco della politica della classe dominante. E quale
gioco!
La borghesia americana in tutto può
sbagliare tranne nel convincimento motivato che la soggezione delle masse lavoratrici,
anzi la loro adesione cieca, alla politica dello Stato di Washington, le
assicura non solo la perpetuazione della propria dominazione sul territorio
metropolitano, ma addirittura le permette di montare la guardia al privilegio
capitalistico, in tutti i cinque continenti. Lo spettacolo del totale inquadramento
delle masse proletarie, mercé la politica dell'onnipotente opportunismo
sindacale, nella ideologia e nella politica ufficiale, non può che riempire di
arroganza le oligarchie dominanti. E c'è di che inorgoglirsi! Dall'epoca della
guerra di Secessione, terminata nel 1865, se non si vuole risalire addirittura
fino alla guerra d'Indipendenza contro l'Inghilterra, il capitalismo americano
non ha conosciute che guerre vittoriose, mai ha sentito i morsi del terrore che
le minacce di rivolta delle masse sfruttate suscitano negli oppressori.
L'America del Nord a tutt'oggi è vergine di rivoluzione. Contrariamente alle
borghesie europee, il cui dominio politico si instaurò attraverso guerre di
classe e violenti rivolgimenti, la borghesia americana, esportata dalla vecchia
Europa sulle rive dell'Atlantico, si costruì il proprio potere autonomo
attraverso una guerricciola contro la Madrepatria Inghilterra, non disdegnando
di accettare gli aiuti delle ancora feudali Francia e Spagna. Né il rifiuto di
obbedienza dei coloni americani a S. M. Britannica si colorò degli accesi
colori della Ideologia e della Retorica giacobina dei rivoluzionari borghesi di
Europa. Alla base della contesa con l'Inghilterra, conclusasi con la guerra,
non fu posta la lotta del "libero pensiero contro l'Autorità", o
dell' "Uguaglianza contro il Privilegio", tutt'altro. Senza drappeggiarsi
nelle vesti libertarie, fu detto chiaro e tondo dai piantatori americani che il
pomo della discordia erano le pretese del Governo di Londra dì esigere tasse
sullo zucchero, sul tè, ecc., prodotti in America. Con la stessa identica
spregiudicatezza, che poi è un punto all'attivo del materialismo storico, i
pronipoti dei Franklin e dei Washington spiattellano davanti al mondo intero
che la lotta elettorale tra Stevenson ed Eisenhower è una questione che viene
risolta in definitiva a suon di dollari.
Il cinismo della borghesia americana, la
sprezzante noncuranza con cui lascia intravvedere uno sfondo di intrighi e di
corruzioni dietro le figure dei candidati alla presidenza dello Stato Federale,
non è in fondo che la convinzione che l'America del Nord o, meglio, gli Stati
Uniti, debbano rimanere per sempre terra senza rivoluzioni. Purtroppo tale
superstizione non risparmia le menti proletarie. L'alleanza capitalistico-opportunista,
che sta celebrando il suo saturnale nell'atmosfera accesa della campagna
elettorale, assicura la perpetuazione della dominazione capitalistica in
America; potendo disporre di un colossale potenziale industriale e militare
vigila sul mondo intero, pronta a piombare ovunque le masse proletarie
minacciassero di intaccare le basi dello sfruttamento capitalistico. Un blocco
di potenziale controrivoluzionario, di cui uno simile non esiste al mondo, né
nello spazio né nel tempo.
Soddisfatta della sua onnipotenza, della impotenza delle masse, la borghesia
statunitense ghigna. Sicura che le armi terribili, di cui quotidianamente
accresce il numero e la micidialità, saranno impugnate dal proletariato contro
i suoi interessi di classe sfruttata e contro la sua stessa esistenza fisica,
gavazza. Irride in cuor suo ai suoi stessi satelliti, alle borghesie vassalle
di Europa, d'Asia, del rimanente del continente americano. Comincerà a fremere
di paura allorché il proletariato americano si alzerà a spezzare l'alleanza
stipulata dall'opportunismo con la filibusta del Capitale. Quando verrà tale giorno
nessuno può dirlo. Di sicuro però c'è che esso segnerà la fine della mostruosa
epoca del capitalismo.
Nessun commento:
Posta un commento