La classe
dominante americana va orgogliosa dei successi ottenuti non solo nel procurar
lavoro quasi a tutti, ma nell'aver assicurato a chi lavora un livello medio di
vita che non ha confronti in nessun altro Paese del mondo. E se ne vanta come
se, tutto questo, fosse un suo grazioso dono alla massa dei lavoratori.
La verità è ben
diversa. Gli Stati Uniti hanno potuto, per ragioni che abbiamo spesso analizzato,
moltiplicare il volume della produzione e, di conseguenza, i mezzi di vita a
disposizione dei propri cittadini; ma, in questo gigantesco sviluppo, chi
lavora, chi, insomma, "produce", non solo non ha ricevuto nessun
gratuito dono, ma, al contrario, è stato continuamente defraudato. Nulla di
nuovo, nella società borghese, d'accordo; ma tanto più significativo ed appariscente
là dove sembra – e si vuol fare apparire – che la prosperità sia un "bene
comune" di proletari e sfruttatori.
Prendiamo i dati
ufficiali. Dal 1848 al 1929 – cioè nella prima, ininterrotta ondata di ascesa
del capitalismo U.S.A. – la "quota
spettante al lavoro manuale sul valore aggiunto alla produzione" è scesa dal 51% al 38,2%: in particolare,
nel periodo di maggiore espansione industriale – il 1926-29 –, precipita dal 39
al 36,2% (in tre anni!); nel periodo 1927-29 la produttività media oraria per
operaio aumenta dell'8%; nello stesso
periodo, i profitti aumentano del
24%. La stessa constatazione viene espressa in altro modo così: il prodotto
nazionale lordo cresce (1927-29) del 10%; il salario reale del 5% appena.
Prendiamo il
secondo periodo di espansione in fase economica normale (prescindendo cioè
dalla situazione eccezionale di guerra), il 1945-48: i profitti (al netto delle
tasse) salgono da 8,5 a 21,2 miliardi
di dollari: l'indice del salario reale scende
da 152,8 a 129,2. I profitti lordi risultavano nel 1948 aumentati del 40% sul 1946; i profitti netti del 50%; l'aumento
della produzione è del 23,5%; quello della produttività per operaio del .4%;
l'aumento dei salari è stato più che compensato dall'aumento dei prezzi.
La produttività
americana aumenta in media del 3%
all'anno: in altre parole, l'operaio produce nell'unità oraria sempre di più
(si badi che la percentuale si riferisce alla media; nella grande industria si
arriva ad aumenti reali di gran lunga più forti); di questa produzione
crescente la forza-lavoro riceve proporzionalmente sempre meno, il capitale sempre
più. E del resto, di chi può andare a vantaggio l'aumento della
produttività – o teorici stalinisti dello stimolo alla produzione – se non di
chi si appropria il prodotto?
La conclusione è che più la classe operaia americana "sta bene",
più partecipa in valori monetari assoluti alla prosperità "generale",
più il tasso del suo sfruttamento cresce. A prescindere, s'intende,
dall'instabilità di una situazione che si regge su un predominio economico
mondiale e, per buona parte, sulla produzione di guerra…
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